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Dott.ssa Filomena Petrazzuolo - Psicologa Psicoterapeuta - Dott.ssa Filomena Petrazzuolo - Psicologa Psicoterapeuta

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È la storia tutta al femminile di un'analisi, quella di Marie, che iniziò negli anni Sessanta, lei aveva trent'anni. E’ attraverso l’analisi che Marie riscopre la vita e ritrova la felicità che aveva soltanto immaginata. E’ attraverso l’analisi che si svela il talento del quale era stata dotata sin dalla nascita: la scrittura.
Marie nasce ad Algeri nel 1929 e qui vive fino all'adolescenza. Ama questa terra "dura da coltivare, rossa, secca, favorevole al timo, al pino marittimo, alla vigna calda" e così la descrive: "Si levano i colori, gli odori, le forme; trasformano il paesaggio a tale velocità che sembra di veder muovere e vibrare la terra. La vita!... Ritmi delle stagioni, ritmi delle canzoni, ritmi delle parole.......... Per me vivere altrove, lontano da quei luoghi è diventato sinonimo di arrancare per guadagnarsi la vita. Là vivere era vivere; significava abbandonarsi ai ritmi consueti dell'uomo senza soffrirne, dolersene e gioirne, ma accettandoli per quel che sono".
La sua è una famiglia dell’alta borghesia, dalla quale riceve un’educazione autoritaria e repressiva. Il padre assente e malato, la madre carica di ossessioni e pregiudizi sbagliati. 'E' fortemente condizionata dall’ambiente cattolico che svolge su di lei un’influenza determinante, in particolare per quanto attiene il rapporto con il corpo ed il sesso, aspetti che rimangono, sino ad un certo punto della sua vita, non solo innominati ma anche rimossi'. Ed è nel corpo che la sofferenza della sua anima si trasferisce. Fino a trent’anni infatti, rimane prigioniera di una ‘inspiegabile’ e devastante malattia che la costringe a vivere isolata dal mondo, nel bagno di casa sua, tra la vasca ed il bidè per controllare il flusso del sangue, ha continue emorragie che la lasciano scossa da tremiti, coperta di sudore, terrorizzata e incapace di vivere. Marie chiama tragicamente la "Cosa" questo male che la divora facendola sprofondare in un'angoscia senza fondo che la lascia sfinita, senza la possibilità di vedere e sentire altro. Cosa fare?
Marie sceglie l'analisi e nel libro ci porta insieme a lei lungo il vicolo che per sette anni, tre volte alla settimana, ha percorso fino in fondo, fino al cancello di sinistra da "quell’ometto". "Dottore, sono malata da molto tempo. Sono scappata da una clinica per venire da lei. Non ce la faccio più a vivere" E lui per sette lunghi anni ascolta le sue parole con la sapiente coscienza del silenzio, che interrompe a tratti, con la domanda giusta al momento giusto. E, a poco a poco, la parola "diventa viva". Sono le parole provenienti dalla profondità dell’inconscio, quelle dei sentimenti e delle emozioni antiche rimosse, per tanto tempo, che fanno rivivere la bambina che è stata riportandola in superfice. Il dolore è profondo e lacerante, ma è solo attraversandolo che può arrivare alla consapevolezza, non ci sono scorciatoie e lei continua. "Ho cominciato a parlare di mia madre e non ho più smesso, fino alla fine dell’analisi. In tutti questi anni non ho fatto altro che calarmi in lei come in un burrone senza fine. Così sono riuscita a conoscere la donna che lei avrebbe voluto che fossi" C'è l'odio per la madre, intenso, che, oltre la nascita, le ha donato la morte, la follia e la "Cosa ". "E’ tra la donna che lei avrebbe voluto generare e me che la Cosa si è insediata. "Iniziando a parlarne, non della Cosa ma della bambina che è stata, la Cosa sparisce così come l’allucinazione, che accompagnava le sue sofferenze fisiche. E' la parola che libererà Marie dalla sua nevrosi, farà nascere da lei un'altra donna. Ella dirà "Ho parlato e l'ho liberata... Sono nata da lei a poco a poco... Ma la mia ricchezza è proprio nell'essere stata quella donna e quello che sono ora... Ho scorticato tutte le leggi, che mi avevano asservito fino a ridurmi a uno straccio."
L'analisi di Marie dura sette anni, alla fine dirà: "Esisto da sette anni...Sono nata con la psicoanalisi" Così finisce 'Le parole per dirlo': "La porta chiusa dietro di me. Davanti il vicolo, la strada, la città, la terra e UNA VOGLIA DI VIVERE E DI COSTRUIRE GROSSA COME IL PIANETA "
Le parole per dirlo è la storia di una rinascita. Di un graduale e lento recupero di sé, è un libro senza tempo. Il romanzo uscì nel 1975. Marie scrive: "E' stato l'alba della mia nascita, della mia guarigione. Mi sono avventurata in quelle prime pagine bianche come una donna che, persa nel deserto, trova le prime tracce di acqua."


Kantu è giovane, bella e piena di entusiasmo. Vive a Cuzco, in Perù, ma non conosce nulla delle antiche tradizioni andine...
Un giorno, un evento inatteso sconvolge il suo universo, costringendola a confrontarsi con una realtà a lei incomprensibile. Disposta a tutto pur di conquistare l'uomo che ama, Kantu intraprende un cammino difficile, ma affascinante, che la porterà a riscoprire la straordinaria energia che è in lei. La sua storia, una storia vera, ci apre il cuore.

Hernàn Huarache Mamani è un indio nato a Chivay, un villaggio della Cordigliera delle Ande. Laureato in economia e agraria, è un sacerdote, ultimo erede di un'antica generazione di curanderos andini:Da anni lavora a un progetto di conservazione della cultura del suo paese e gira l'Europa per diffondere la sua conoscenza spirituale attraverso seminari, conferenze, interventi in università e cerimonie.



Quello di cui parla il titolo è un Albergo un po' particolare. Sorge su un'isoletta dell'arcipelago di Chloè, nel Sud del Cile ad opera di Elena, una psichiatra, che ne è la proprietaria e che lo ha voluto per ospitare per un periodo che non può superare i tre mesi, donne di ogni età, cultura e ceto sociale che attraversano un periodo di difficoltà nella loro vita…le regole sono poche e semplici, le giornate scandite dallo svolgimento delle faccende domestiche e dai momenti di discussione in gruppo o individuali.
Sull'isola approda Floreana e pian piano si capisce che le motivazioni che l'hanno condotta all'Albergo sono state la morte della sorella a cui era più affezionata e la fine di una dolorosa storia d'amore…si scopre che "Floreana è arrivata al punto critico in cui ci si trova al cospetto di sensazioni tanto intense che non si trovano le parole per esprimerle...per il dolore non ci sono parole, per il cancro non ci sono parole, per l'ingiustizia nemmeno".
L'Albergo, un posto dove donne così diverse si incontrano e riescono liberamente ad esprimersi e a liberare le proprie pene e i propri dolori, molto probabilmente perché questa rappresenta temporalmente una breve parentesi nelle loro esistenze che non costituisce una forma di evasione, bensì l'occasione di dedicare tre mesi della propria vita ad ascoltare le proprie emozioni ed il modo per trovare la capacità e il desiderio di reagire….chi di noi non vorrebbe trovare un "posto" così? Consapevoli che non si debba necessariamente trattare di un luogo fisico quanto piuttosto di una condizione psicologica!
Nell'Albergo non mancano le occasioni per la riflessione individuale e per il confronto con le altre ospiti da cui emerge un'immagine della donna del giorno d'oggi vista sia da un'angolazione femminile che dal punto di vista maschile. Donne in cui l'elemento accomunante è l'essere connotate dal senso di colpa, in cui le due cose sembrano essere diventate sinonimi. Donne che nella seduzione devono continuamente frenare i propri slanci in quanto la compostezza del riflesso che vedono davanti a loro le porta a temere di stonare, di sconfinare nel ridicolo. Donne che sentono e vivono attraverso quanto viene detto, mai attraverso ciò che viene taciuto o tenuto segreto, per cui ciò che non si dice non esiste. Perché le parole non sono solo inutili ma peggio: deformano i sentimenti.
Tra tante donne, ciascuna con la propria storia, sono presenti anche due protagonisti maschili: Flaviàn, il bel medico amico di Elena con cui Floreana intreccia una storia d'amore e Pedro, il cugino omosessuale che diventa molto amico della protagonista. L'autrice mette in bocca loro, nei dialoghi un po' troppo lunghi, che a volte si tengono, impressioni e punti di vista sulla condizione della donna al giorno d'oggi, sulla vita, sulla passione e sull'amore, questo flagello molto democratico che non fa distinzioni e travolge tutti allo stesso modo.
Floreana è una donna che ha avuto esperienze di vita molto diverse dalle mie ma che ho finito per sentire vicina. "Una donna che avrebbe voluto essere un po' più misteriosa perché aveva sempre avuto paura che, da vicino, un uomo, tolto il primo velo e il secondo, non avesse più niente da scoprire, ma che non trovava mai la forza, anche se lo desiderava con tutta l'anima, di tenersi stretti addosso i veli per non far capire, mettendosi a nudo, quanto fosse facile conoscerla…Una donna che si è trasformata in una sopravvissuta: ai suoi dolori, ai suoi sospetti ai suoi risentimenti, che aveva rinunciato ai suoi conflitti dimostrando un'intransigenza e un controllo che, pur essendo solo apparenti, rappresentavano un nuovo ordine...Una donna in cui un abisso separa ciò che oggettivamente è e la percezione soggettiva che lei ha di se stessa. La cui famiglia è sempre stata fiera di lei ma il problema è che questo lei lo sa ma non lo sente e questa non è modestia ma un vero e proprio sperpero di autostima…Una donna che nonostante i fatti continuassero a dimostrarle il contrario, non poteva evitare di concepire la propria vita come una spossante catena di eventi trascurabili, diligentemente accumulati anno dopo anno senza pesare sulla vita degli altri, né in senso peggiorativo, né in senso costruttivo".Una donna disillusa dalla vita e soprattutto dall'amore che riesce grazie alle favorevoli condizioni che si creano all'Albergo e, anche al suo coinvolgimento emotivo con Flaviàn, a liberarsi degli aspetti dolorosi del suo passato, a ritrovare fiducia in se stessa e a ritrovare il senso della patria e delle radici (il tuo paese natale sei tu stessa…)
La relazione tra di loro non approda all'appagamento fisico, tolto il bacio che si scambiano prima della separazione, ma è ugualmente molto intensa e sapientemente descritta dall'autrice che si sofferma su particolari quali le mani di lui, che sono il primo elemento che le fanno superare il doloroso ricordo dell'amore passato, gli sguardi, gli odori, i contatti sfuggenti, fino al sensuale "Tango to Evora" che i protagonisti ballano alla festa del paese riuscendo a far vivere tutta la passione che trasuda letteralmente dai due protagonisti…oh sì, come è complesso il desiderio! Quanto è soggiogante, e inefficace e irreversibile!

Un libro che fa riflettere sulla condizione femminile, sull'amore, sul dolore, sul senso della vita indicato sia ad un pubblico femminile che maschile. Perché tanti sono gli spunti di riflessione che propone e che ciascuno può vivere e rielaborare a modo proprio, secondo la propria personale esperienza.




James Hillman è stato descritto alternativamente come uno psicologo indipendente, un mago, un visionario, un maniaco e un Re-filosofo contemporaneo. Ha studiato con il grande psichiatra svizzero Carl Jung ed ha insegnato in varie università americane. Malgrado queste credenziali, Hillman è lontano dall'essere considerato una figura appartenente al mondo della psicologia. Infatti è visto da molti suoi colleghi come un pensatore profondamente sovversivo, una spina nel fianco degli psicologi rispettabili.
Come fondatore della "psicologia archetipica", una scuola di pensiero diretta a revisionare e "reimmaginare" la psicologia, Hillman crede che la psicologia debba evolversi oltre il suo "riduzionismo" presente ed abbracciare teorie sullo sviluppo umano.
Dagli anni sessanta ha scritto, insegnato e tenuto conferenze sulla necessità di portare le terapie fuori dalle sale di consulenza e nella realtà del mondo. "La psicologia si è ridotta ad una ricerca banale ed egocentrica, egli afferma, piuttosto che ad un'esplorazione dei misteri della natura umana".
Uno dei più grandi di questi misteri, secondo Hillman, è la questione del carattere e del destino. Nel suo recente bestseller "Il Codice dell'Anima" afferma che il nostro carattere e la nostra vocazione di vita sono qualità innate e che è la missione della nostra vita realizzare quelle spinte. La chiama "la teoria della ghianda", l'idea che le nostre vite sono formate da un'immagine particolare, come il destino della quercia è contenuto nella piccola ghianda.



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